
Ieri, sabato 27 dicembre 2025, ho avuto modo di fare esperienza del pronto soccorso dell’Humanitas. Spesso leggiamo della miserevole condizione della sanità al Sud, ma sotto questo aspetto abbiamo “eccellenze” preoccupanti anche qui al Nord.
Ore 6:15 del mattino.
Mia moglie ha dolori molto forti alla gamba. Arriviamo e il pronto soccorso è deserto. Non c’è un infermiere, non c’è un banco accettazione presidiato. C’è un totem. Prendi il numero e aspetti. Sono perplesso: e se avessi un’emorragia? Evidentemente a quest’ora il “fai da te” è l’unica modalità. Arrivano le signore addette alla pulizia. Fanno il loro lavoro con tranquillità mentre noi continuiamo ad aspettare.
Verso le 7 finalmente un altoparlante chiama il numero di mia moglie. Il tempo di entrare e veniamo liquidati in un minuto: l’ortopedico non c’è, tornate alle 14.
Tutto sommato apprezzo questa modalità. Inutile farci aspettare in sala d’attesa per ore. Tornate oggi pomeriggio.
Ore 14:30. Il ritorno.
Torniamo alle 14:30, così l’ortopedico sarà pienamente operativo. La sala ora è piena, ci saranno 30 persone. Riprendiamo il numero. Dobbiamo aspettare il turno per fare il triage (sì, avete capito bene: la fila per poter dire che stai male). Ed è qui che le perplessità diventano rabbia.
Un signore si lamenta e ci spiega che la figlia ha 39 di febbre da giorni. Stanno aspettando di poter fare il triage da due ore senza che nessun infermiere si sia manifestato.
Mi domando: ma se qualcuno arriva con le proprie gambe al pronto soccorso e ha problemi seri, cosa deve fare, aspettare il suo turno? Magari ho un infarto in corso e devo aspettare che il signore con l’unghia incarnita che è arrivato prima di me faccia il triage prima di poter spiegare quello che mi sta succedendo?
Ore 15:30. Oddio sto male!
Arriva un signore portato da un’ambulanza e accompagnato dai soccorritori e dalla moglie. Sta male, si lamenta per dolori alla pancia. I soccorritori hanno preso il numerino, ma vista la situazione, bussano al triage per segnalare il problema. La risposta è implacabile: deve aspettare il suo turno.
Il signore continua a lamentarsi a voce sempre più alta. La moglie è agitata: “Possiamo farlo entrare prima? Non vedete come sta?”. I soccorritori si guardano intorno imbarazzati, ma non possono fare altro che ribadire la regola della casa: bisogna aspettare il turno. Il signore ad un certo punto urla che gli viene da vomitare.
I soccorritori si guardano intorno per cercare di capire come fare. Alla fine decidono di prendere un bidone per la pattumiera presente in sala d’attesa e lo fanno vomitare lì dentro. L’addetto alla sicurezza si agita nel suo gabbiotto. Ma che può fare? Probabilmente nulla.
Tutti noi presenti in sala d’aspetto assistiamo al dolore e ai conati di vomito di quel signore. Probabilmente molti sentono montare la rabbia, ma siamo ad un pronto soccorso e il disagio e la rabbia si trasformano presto in rassegnazione.
E’ sempre così?
Purtroppo ho “visitato” molti pronto soccorso in vita mia. Ovunque funziona così: arrivi, fai il triage subito, un infermiere valuta quanto è grave il problema. Se stai morendo passi subito (codice rosso/giallo), se hai un’unghia incarnita aspetti (codice verde/bianco).
La situazione più grave che ho sperimentato è stata un codice giallo. Abbiamo aspettato ma poco. Siamo passati avanti a tutti i codici verdi in attesa. Con i codici verdi, le attese sono state anche di ore. Ma almeno sai che stai aspettando perché qualcuno che sta più male di te è giustamente passato avanti. Oppure quello con l’unghia incarnita è arrivato prima di te ed entra prima.
All’Humanitas invece ho scoperto che vige un sistema perfettamente democratico: siamo tutti uguali. Aspetti il tuo turno, non importa se hai un infarto in corso o un fastidio minore. Qualcuno dirà che serve a evitare che “l’amico dell’infermiere” passi avanti. Sarà. Ma lo scotto da pagare è vedere un uomo soffrire e vomitare in un bidone perché il suo numero non è ancora uscito sul display. Io preferisco rischiare che qualcuno faccia il furbo, piuttosto che vedere la sofferenza trattata come una pratica burocratica da smaltire in ordine cronologico.
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