Hassan il guerriero

Hassan ha cinque anni.
È il primo di tre fratelli.
La sua camminata è lenta e misurata.
Trascina i piedi e il corpo ondeggia, come se cercasse costantemente l’equilibrio.
Spesso i genitori usano un passeggino per portarlo in giro, come fanno con i più piccoli, Rayan e Sara.
Hassan vorrebbe farne a meno, ma la stanchezza arriva in fretta. Gli basta qualche decina di metri e deve già concentrarsi per resistere.
Ma questa è la sua vita e non può fare diversamente.
Lui non sa perché, ma sua madre, Jamila, sì.
Hassan era al sesto mese di gestazione quando i medici diagnosticarono un mielomeningocele.
Anche se avesse potuto, cosa ne sapeva lui di “mielo…coso”?
Se ne stava tranquillo nel suo cantuccio, aveva tutto ciò che gli serviva. Cos’altro contava?
Per Jamila era diverso: per lei contava. Voleva dare a Omar un figlio maschio, un figlio forte di cui andare orgoglioso.
Cosa doveva fare?
Papà Omar era lontano. Aveva trovato lavoro ad Abu Dhabi come analista programmatore. Un lavoro ben retribuito, e loro avevano bisogno di quei soldi. Volevano lasciare la casa dei suoceri e costruirsi uno spazio tutto loro, dove far crescere tutti i figli che Allah avrebbe loro concesso.
I medici avevano dato a Jamila tre opzioni: un intervento chirurgico in utero per ridurre i danni, un’interruzione di gravidanza, oppure affidarsi ad Allah. C’era una minima, minima possibilità che la diagnosi fosse sbagliata.
Che fare?
Jamila avrebbe voluto parlarne con Omar, ma non voleva mettere a rischio la sua serenità. Lui era una persona ansiosa, anche se non lo ammetteva.
Qualche settimana prima, Jamila aveva avuto delle perdite di sangue. I medici le avevano detto che poteva succedere, che il bambino stava bene, e non c’era da preoccuparsi. Ma era stato difficile convincere Omar a non tornare. Aveva già quasi preso il biglietto aereo, e solo il ginecologo era riuscito a farlo ragionare.
Se ora gli avesse detto del problema, che avrebbe fatto?
Non voleva mettere a rischio i loro progetti.
Doveva tenere duro ancora sei mesi. Hassan sarebbe nato e Omar lo avrebbe visto tre mesi dopo. Ma quei tre mesi significavano i mobili per la cucina e la cameretta per i bambini.
Se Omar fosse rientrato subito, con sei mesi di anticipo, non avrebbero avuto i soldi nemmeno per la loro camera da letto e per la sala da pranzo.
Così Jamila decise di affidarsi ad Allah.
Ma Dio aveva altri progetti per loro e per Hassan. E il piccolo Hassan sembra averlo capito fin dalla nascita. Mai un lamento, mai un pianto che non fosse giustificato.
Allah ha premiato la fede di Jamila. Non ha dato delle buone gambe a Hassan, ma le ha portato in dono altri due splendidi bambini, sani e forti, di cui andare orgogliosi. E un buon lavoro per Omar, ben retribuito e non lontano da casa. Così possono permettersi una settimana in un resort a cinque stelle.
Hassan si alza a fatica dal suo posto a tavola.
Papà vorrebbe un altro bicchiere di acqua e menta e Hassan vuole che lui sia orgoglioso del suo figlio più grande.
“Vado io”, dice prontamente.
Lo lasciano fare.
Fin da quando era piccolissimo, hanno cercato di trattarlo come un bambino normale. Sanno che, benché siano ancora giovani, non sono eterni, e Hassan dovrà sopravvivergli.
Deve essere forte, orgoglioso, e mai, per nessun motivo al mondo, dovrà piangersi addosso.
Faticosamente, passo dopo passo, percorre il corridoio che porta al bar, accanto al buffet.
Gli ospiti si spostano per lasciargli spazio.
Arriva a malapena all’altezza del bancone, ma non riesce a sollevarsi sulle punte dei piedi.
Il barista lo scorge e si sporge per raccogliere la sua richiesta. “Un bicchiere di acqua e menta.”
Pronti.
Hassan prende il bicchiere, ma tornare indietro è molto più difficile di quanto avesse pensato.
Lui non cammina, avanza lentamente, strisciando i piedi, ondeggiando a destra e sinistra.
L’acqua cadrà.
E cosa penserà papà?
Si blocca, lì, davanti al bancone. Si guarda intorno. Spera che la mamma arrivi in suo soccorso, ma non vuole chiamarla.
Non vuole che papà pensi che lui è debole.
Il mondo intorno a lui continua il suo frenetico moto: gente che raggiunge il buffet con piatti vuoti e torna dopo averli riempiti.
Vorrebbe piangere, ma no, non lo farà.
Khalid ha visto tutta la scena.
È il responsabile della sala e il suo compito è sorvegliare, per essere certo che tutto vada bene e che gli ospiti siano soddisfatti.
Khalid non deve servire ai tavoli. Non deve nemmeno spostare una sedia. Il suo compito è sorvegliare i camerieri e intervenire quando serve.
Ma ha visto il piccolo Hassan e non può far finta di niente.
Il bimbo non ha chiesto aiuto, non ha pianto.
“Ha carattere, il piccolo”, pensa. E si commuove.
Nascondendo una lacrima, si avvicina a lui e gli sussurra: “Lo sai che in questo hotel noi camerieri prendiamo una multa se non serviamo gli ospiti? Vuoi che io prenda una multa?”
Il bambino lo guarda e dice piano: “No.”
“Allora lascia che faccia io.”
Prende il bicchiere dalle mani di Hassan, lo prende per mano, e insieme si avviano verso il tavolo dei suoi genitori.


Prende il bicchiere dalle mani di Hassan, lo prende per mano, e insieme si avviano verso il tavolo dei suoi genitori.

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