Di Elisabetta Malacrida

La voglia di conoscere e di esplorare mi ha accompagnato fin da piccola, quando mi arrampicavo sugli alberi vicino casa per scoprire che cosa si poteva vedere da lassù.
Finché è esplosa, portandomi a lasciare una vita che si stava avviando verso una rassicurante ma soffocante “normalità”. Ho dato via tutto quello che mi ancorava a quella vita, diventata troppo stretta per me, e sono partita, zaino in spalla e via.
Ho lasciato tutto e tutti, ma non il mio compagno.
Condividiamo la stessa visione della vita e quindi non ho dovuto sprecare tempo ed energie per convincerlo.
Oriente o occidente?
Oriente, perché se devo scegliere tra il culto del dio denaro e il culto di Vishnu… beh, per me la scelta è facile.
E quindi via, in Thailandia.
Da lì in Cambogia, per una esperienza di volontariato di cui parlerò in un’altra occasione.
E poi il Vietnam. Ed è subito amore.
Le strade principali sembrano arterie, ma appena ti sposti un po’, si aprono piccoli vicoli pieni di vita: case, botteghe, cortili, profumi, suoni.
Vicino alla nostra homestay c’è una casetta minuscola, con una tettoia di lamiera arrugginita e un cortile che sembra uscito da un’altra epoca.
Ogni volta che uscivamo presto, sotto quella tettoia trovavamo una signora anziana. Sempre lì, sempre sorridente, pronta a salutarci con un entusiasmo che non smetteva mai di stupirmi.
Una mattina, mentre andavo a buttare la spazzatura, sono passata davanti a casa sua. Ero già pronta a sollevare la mano per il solito “hello!”, ma lei mi disse qualcosa che non capii.
Rimasi a guardarla, ma davvero non capivo cosa volesse dirmi. Finché con un gesto gentile mi fece cenno di entrare in casa sua.
Lì per lì ho esitato. Ho un atteggiamento sempre molto positivo verso le persone, ma questo, più di una volta, è stato un inciampo più che un vantaggio. E di fregature ne ho prese diverse.
Poi ho pensato: “È una nonnina, cosa mai mi potrà succedere?”.
E sono entrata.
Dicono che noi italiani siamo bravi a farci capire in ogni luogo del mondo, con gesti, espressioni del viso e del corpo. Ma anche la nonnina riusciva a farsi capire.
Mi fece vedere le mani unte di pomata e un paio di piccole stelle dorate, orecchini. Con un gesto eloquente mi fece vedere che se tentava di afferrarli per metterli alle orecchie, scivolavano via.
Sorrise e mi indicò. Poi mi diede quelle due piccole stelle dorate in mano, facendomi capire che avrei dovuto inserirli nei suoi lobi segnati dal tempo.
Erano orecchini vecchi, consumati. Ma erano stelle, come quelle che potevo vedere nella bandiera vietnamita.
Non so perché, ma ho sentito che aveva un senso.
Riuscii a mettere quelle stelle nei lobi delle sue orecchie e lei sorrise felice. Mi offrì del tè, simbolo in oriente dell’ospitalità.
Provammo a parlare, per quanto possibile.
Mi mostrò il suo cellulare, troppo grosso per lei, e i primi nomi della rubrica. Forse i suoi figli, forse amici.
Mi indicò le stanze della casa, come per spiegarmi chi stava dove.
Mi fece ripetere quei nomi, ridendo così tanto della mia pronuncia da farmi ridere a mia volta.
Arrivò il momento di congedarsi. Presi il sacco della spazzatura e la salutai.
Lei mi guardò e, con un largo sorriso un po’ sghembo, mi disse “Number one!”. Forse una delle pochissime parole inglesi che conosceva.
Uscii da quella casetta con quel sorriso che sentivo appiccicato addosso, e con quella sensazione piacevole di essere in pace col mondo.
Ecco qui. Una storia da nulla, o forse poco di più.
Da quando siamo partiti io e Matteo ci siamo interrogati spesso sulle nostre paure.
Paura delle persone, delle fregature, di chi vuole approfittarsi di noi.
Camminiamo con la guardia alta e con la coda tra le gambe.
Poi arrivano momenti così.
Momenti in cui non devi fare altro che esserci.
Essere disponibile, senza fretta, senza aspettarti niente. Solo esserci, umanamente.
E sono chiesta spesso:
Com’è successo che ho iniziato ad avere paura della mia stessa specie?
Quando ho smesso di fidarmi?
Perché davanti a una signora anziana il primo istinto è stato difendermi, invece che aprirmi?
Se riuscissimo a lasciarci andare di più, a fidarci, potremmo davvero far entrare dentro questo viaggio.
Dentro di noi.
Ma non è facile.
Lo sappiamo: il mondo può essere crudele. E a volte per proteggerci, ci chiudiamo.
Ma… a quale prezzo?
Il nostro viaggio continua.
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